Una sera dolcissima (Zona 2010)




 Sommario


Introduzione
Il “dover parlare”: la scrittura come pegno
di  Maria Antonietta Selvaggio


Non ho più occhi giovani
Non ho più occhi giovani – Infanzia –  Il diavolo, l’acqua santa e le spagnolette – La gioia – Territori sconosciuti – Ingiustizia e ipocrisia – Quelle estati – Per compagna una fanciulla indomita – In direzione opposta – La riva – La casa vecchia – Il regalo più bello –  “E collane conserte?” – Cose grandi – Tu e io – Milano – Primo periodo – Al trentotto – Via Caccianino –  Anabasi - Incontro col Sud- La vacanza femminista - L’ultimo bagno - La Grazia - Le Lunandanti – Intermezzo – Campi Flegrei – La semplicità ingannata – Eterno presente – Agosto 1969 – Piccola conclusione


Una sera dolcissima


In ordine di apparizione
Giulia – La festa – Tarda estate – Il Piacere – Fotogrammi – Intervista


Nello studio del dottore Mabuse




                                                            


1) Da Una sera dolcissima:

Fare una sintesi di certe emozioni è la piccola vetta del mio vivere.
Forse nella lettera di risposta all’ultima cartolina di Antonietta ci sono riuscita, cominciando con queste parole: - Carissima Antonietta, ho ricevuto la tua cartolina abruzzese, e per un momento mi sono estraniata dal presente e ho raggiunto anch’io quei luoghi assolati e solitari, battuti da un vento duro, ma stimolante. Il silenzio... il cielo fermo... l’aspettativa di nuove emozioni, sono l’espressione di un bisogno  perennemente insoddisfatto, ma mai sconfitto -.
Il punto di approdo (e di partenza) successivo è in queste parole: - Ho pensato a certi luoghi della mia terra – sempre più lontana, in questo quotidiano, acre presente di Milano –, e mi dico: io sono ancora quella.
Nello scrivere questa frase ho espresso l’emozione che è diventata la componente principale del mio vivere attuale: una percezione interiore, che posso debitamente comunicare solo ad Antonietta, perché: -...parlare con te è ritrovarmi, è ritrovare grandissime emozioni, nella loro modesta vicenda esteriore.
Un mondo, dunque, impossibile da trovare fuori, nella continua bufera del vivere.
La scoperta del nostro mondo è l’avventura sempre viva, anche se molto ridimensionata; e in me tutto continua a essere custodito con amore e con cura.
Nel rapporto con Antonietta risalta, però, una diversità.
Il suo impegno attivo, la mia ritrosia.
Ma noi sappiamo che per entrambe la difficoltà resta la stessa.
- Io non posso parlare d’impegno se non in maniera solitaria e impervia, irraggiungibile anche a me stessa.
A questo punto ho sentito che la cartolina evocava la rappresentazione di un luogo, che io e lei abbiamo sempre incontrato, quando potevamo passeggiare assieme, preoccupandoci solo di cercare le parole per esprimere le nostre emozioni.
Come se il tempo non dovesse passare e la stretta della storia, personale e collettiva, fosse solo dolce. 


2) Da Nello studio del dottor Mabuse:

Caro M.,


            sono contenta di aver ricevuto la tua Lettera.
            Finalmente possiamo chiudere un ciclo e riaprirne un altro.
            Benchè illusorio, è un modo di suddividere l’esistenza,
            ordinarla in tappe,
            o tutto,  troppo, ci franerebbe addosso.
            Scopro un linguaggio antico per parlarti, come se fosse già scritto dentro di me.
            Non devo fare altro che restituirlo alla luce,  riportarlo al  presente.
            La cancellatura del titolo mi procura grande piacere.
            Ti consegna spoglio alla lettura, più vicino all’anima,
            che cerca incanti.
            Perché evochi altri contatti?
            Vorresti esaurire frettolosamente, nel solito modo epidermico,
            ciò che dentro  si è mantenuto per anni?
            Ripiombare nel silenzio di un tempo incandescente,
            finché una notte mi svegliai piangente?
            Ciò che si è salvato vuole parlare.
            Immaginare di venire da te, dopo un vagabondaggio sereno
            lungo le strade della tua città? lasciando la notte  sospesa.
            Sono sicura che quanto ci accadde fu solo un anticipo,
            il bisogno inespresso di altro.
                   


3) Da Non ho più occhi giovani:


                                                      Eterno presente 


La prima immagine assieme è fuori Sondrio.
Per terra e sui monti la neve, che rende più remota l’atmosfera.
Lei in braccio a nostra cugina Rosetta; in piedi io, un cappottino col colletto di pelo, una borsettina a secchiello.
Sorrido spigliata all’ignoto fotografo, che sarà stato il primo moroso di Rosetta.
Lei è tutta infagottata, ma riconosco, sotto la cuffia, la sua espressione placida.
A detta di mia madre, ero molto gelosa delle attenzioni di mio padre che, quando tornava dal lavoro, si chinava subito sulla sua culla.
- Io sono come un pezzo di muro - gli dissi una volta, tutta imbronciata.
Mio padre mi prendeva sulle gambe, facendomi saltare al ritmo di una canzoncina.
- Valencia, ciaccia, ciaccia, ciaccia, ciaaa?-  e tornavo contenta.
Poi è comparso l’albergo che mi ha relegato in collegio, separandomi di colpo da lei e dal resto, per quasi tutto il periodo delle elementari e le medie.
Il Natale, le vacanze estive, qualche malattia mi riportavano a casa ma non ho ricordi chiari della sua presenza, anche se fisicamente c’era.
In qualche modo saremo riuscite a farci compagnia, stornare il senso di abbandono, il vuoto che più di me, molti anni dopo, mi confessò di aver vissuto da piccola.
Un evento particolare fu la sua peritonite.
Rischiò di morire.
Anche questo drammatico episodio restò ai margini del mio mondo parallelo, il collegio, che in questo caso mi offrì una specie di riparo.  
Crescendo si accentuavano le nostre differenze.
Io spigolosa; lei morbida.
Capelli lisci i suoi; crespi i miei.
Ribelle il mio carattere; docile il suo, ma capace di impuntate terribili.
Non si smuoveva per delle ore, mentre io, dopo essermi sfogata, tornavo affabile come prima.
A un certo punto fui costretta a mettere gli occhiali.
Rimasi l’unica in famiglia con questo difetto, che sembrò provocato dalle troppe letture. 
Continuai, in ogni modo, a prediligere la vita sedentaria, il mio isolamento “letterario”, che mi portava lontano più delle gambe.
Lei invece usciva volentieri: si era fatta comprare la bicicletta.
Poi aveva voluto la Vespa.
Era diventata molto amica della figlia del nostro chef: assieme giravano per le stradine della valle.
Quando scoppiò il Sessantotto la situazione si capovolse: adesso ero io a uscire più spesso.
L’arrivo di Elia non determinò alcun cambiamento nel nostro rapporto; anche durante e dopo la tragedia, non ci fu tra noi un contatto più profondo.
Me ne andai.
Un giorno, mentre ero al mare a fare la cameriera con Bruna, in un hotel di Milano Marittima, mi giunse una lettera.
L’apersi nello squallidissimo locale, uno scantinato pieno di brande, dove dormivamo.
Era lei che, oltre ad annunciarmi la sua maturità con ottimi voti, mi chiedeva di aiutarla a venir via da Sondrio.
Per la prima volta la vidi diversa, liberata dalle pastoie dell’infanzia.
Così incontrai mia sorella. 
Eterno presente.
                                                                                                                                                                     
                                               Piccola conclusione

- Questo è un libro serio, che si scrive alla fine della vita.
Disse così Lalla Romano, quando lo lesse nella prima stesura.
Aveva ragione, perché in quel momento, nonostante l’età ancora giovane, percepivo con chiarezza la conclusione di un ciclo, quasi un’intera esistenza
Riguardando la prima stesura ho ritrovato, alla fine del paragrafo dedicato a mia sorella, un’espressione che mi ha fatto venire in mente il titolo di un libro, molto successivo, della grande scrittrice: “Eterno presente”.
L’ho rimessa al suo posto, considerandola una conferma del suo apprezzamento
  





Presentazione a Napoli

Presentazione al Festival Letteratura Femminile Narni

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