A Licia Pinelli con Roberto Signorini
Con Roberto Signorini (6 aprile 2006), sul libro-intervista a Licia Pinelli, di Piero Scaramucci, Una storia quasi soltanto mia.
Carissimo Roberto, ti ringrazio ancora per il libro che mi hai spedito, l'ho iniziato stanotte e concluso adesso.
Ho trovato nell'esperienza di Licia, nelle sue parole sincere e profonde, molto aiuto: soprattutto il chiarimento della "durezza" che ha accompagnato anche me stessa dopo la morte di Elia.
Licia la spiega come un bisogno di essere razionale, di non cedere alle emozioni che le avrebbero impedito di fare quello che era più importante e anche un "non dargliela vinta" a coloro che le avevano fatto così male.
Ma è alla fine del libro che, secondo me, riesce davvero a cogliere il senso di questo atteggiamento quando parlando della moglie di un anarchico schiacciato in una cava di Carrara dice: -Lei questa morte non l'ha accettata e non l'accetterà mai. E' questa durezza di fondo delle persone che sono costrette a subire le cose ma non si arrendono mai. E non è la durezza del boia -.
E' la vera tragedia che non vuole essere né consolata, né fraintesa, ma avere un posto dignitoso nella vita, non restarne esclusa.
Per questo Licia sente di vivere “già" una dimensione pubblica ogni momento, a cui non si è mai sottratta, per la quale anzi ha "messo in ombra" solo le cose indispensabili (non la famiglia distrutta, "quattro donne e una gatta") senza mai rimpiangere tuttavia la sua "torre d'avorio" crollata, ma coltivando continuamente rapporti, con gli avvocati, i compagni, quelli sinceri che lei sapeva fiutare benissimo, e le centinaia di persone che hanno bussato alla sua porta per i più svariati motivi, ma solo quelle che "si firmavano col nome e cognome", trovavano la porta aperta.
Non ha rifiutato la Cederna, Pasolini, Inge Feltrinelli, ma a certe riunioni, certe feste promiscue della sinistra non riusciva giustamente a partecipare.
In che modo lei avrebbe dovuto entrarci? Quali erano i reali punti di riferimento? Dov'era l'organizzazione che avrebbe potuto convogliare meglio le sue iniziative?
Non c'era, perfino i suoi avvocati litigavano fra loro e toccava a lei rimetterli d'accordo.
Poi ci si è messa di nuovo la fatalità con la morte del magistrato che aveva deciso la riesumazione del corpo di Pinelli per cercare i segni delle percosse, in particolare la macchia ovolare alla base del cranio.
E poi mille altre cose orrende che continuavano a succedere e spostavano l'attenzione su altre vicende.
Una condizione vuota ma affollatissima, dove in realtà lei si sentiva sola ad affrontare la situazione, a portare avanti con determinazione e lucidità (“durezza”) la ricerca della verità, della giustizia perchè la partecipazione degli altri si spegneva continuamente a parte alcuni veri amici, che per fortuna si trovano sempre.
Una solitudine che era anche coscienza dei limiti, della debolezza intrinseca di tanti (nella tragedia si vedono meglio), e quindi anche del Movimento nel suo insieme, oltre al rischio della strumentalizzazione dopo la morte di Calabresi, a cui ha reagito con sapiente distacco.
Se c'è stata debolezza io credo fosse nella sua difesa dello stato di diritto, nel credere possibile la giustizia attraverso di esso.
Ma come si fa a rinunciare del tutto a questa speranza?
Bisogna tentare di verificarla e lei lo ha fatto, aiutando almeno Valpreda.
Tutto il resto è di diritto, e solo, suo: -Io ti guardo- dice a Piero Scaramucci - ma ho la faccia anche girata da un'altra parte-.
Un carissimo saluto
Michela
Cara Michela, scusami per il ritardo con cui ti scrivo, ma sto affannosamente lavorando a concludere la traduzione, sono stanco e ho anche problemi di digestione e di pancia, forse per l'affaticamento e anche per la tensione e la rabbia.
Grazie davvero per le cose molto intense che scrivi su Licia Pinelli. Mi chiedo se a lei stessa non farebbe bene leggerle, dato che non sono poi tanti quelli che pensano cose come queste. Credo che la si possa contattare attraverso il Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano
Grazie ancora, e un caro saluto a te e a Roberto
(Roberto Signorini ha scritto importanti libri sulla fotografia, in particolare Alle origini del fotografico, Lettura di The Pencil of Nature (1844-46) di William Henry Fox Talbot, considerato una specie di ‘bibbia’. Era una persona eccezionale, sia dal punto di vista intellettuale che morale. La compagna Maria Luisa Tornesello, dopo la sua precoce scomparsa, ha pubblicato Con i nostri pensieri e con i nostri gesti, lettere e riflessioni di Roberto, di cui accludo il Pdf.)