Le mie ispiratrici

Parlare a sè

Credo che non si debba fare troppa teoria su certe cose, soprattutto se riguardano l’esperienza personale, e la ricerca di una propria maniera per raccontarla.
Ciò che a me è servito davvero sono stati gli incontri con altre scritture, capaci di invogliarmi, sedurmi, appassionarmi.
Più numerose quelle delle donne, che hanno maggiore familiarità con l’intimità, non si preoccupano che la loro espressione sia giusta o sbagliata, rispetto al canone letterario.
Queste sono le autrici che ho amato, e che continuo a seguire, in un ininterrotto dialogo, cominciato tanti anni fa.
Proprio quando ho iniziato anch’io a praticare la scrittura, con una certa continuità, ho letto una delle cose più belle mai scritte per mettere in luce cosa significi parlare a sé (e l’autobiografia lo è, anche se può assumere forme diverse).

Etty Hillesum, regalo della pittrice valtellinese Wanda Guanella

Etty Hillesum


Era un articolo di Saverio Vertone, pubblicato il 22 gennaio 1986, sul Corriere della Sera, intitolato Memorie di un’ottimista che fu condannata a morte, nel quale parlava di Etty Hillesum, commentando la prima pubblicazione (incompleta) del suo Diario.
Certo, si dirà, è facile raggiungere un buon risultato quando si parla di una persona così elevata, come fu e continua a essere Etty Hillesum.
Invece, credo che quando si è di fronte a tali altezze si rischia di perdere la testa, facendosi prendere dagli eccessi per compensare la propria limitatezza, smarrendosi in giravolte inutili.
A Vertone, non è successo, ha saputo entrare, col passo giusto, nel territorio dell’anima, avvicinandola nella maniera più intelligente e affettuosa.
Il Diario di Etty Hillesum, la ragazza ebrea che si rivolge a un Dio imprecisato, senza anagrafe, come alla parte più familiare di sé, mi ha ricordato i colloqui interiori di certe sante della letteratura cristiana, ad esempio di Santa Teresa di Lisieux, e anche di alcune scrittrici note e meno note, come Virginia Woolf o Carla Lonzi.
Stile e contenuti non c’entrano niente. C’è di mezzo qualcosa di anteriore alla scrittura, alla fede e alla cultura, e cioè la capacità di stare con se stessi, di parlare fra sé e sé, di darsi del tu, di dare del tu al proprio io; un tono che affiora solo nelle donne (naturalmente solo in certe donne) e che scarta o scavalca, e comunque evita i drammi, le acrobazie e in generale gli atletismi introspettivi dell’autoidentificazione.
Già questo mi ha fatto innamorare di un uomo così sapiente e, allo stesso tempo, umile, capace di inchinarsi di fronte alla vera grandezza femminile.
E prosegue: Parlare a sé è difficile. Innanzitutto perché bisogna dividersi in due, e poi perché bisogna capire chi parla a chi. In queste emergenze l’io maschile solitamente svolazza, si sfugge, drammatizza le proprie ricerche, con grandi battute di caccia, non si trova mai e si cerca sempre…Al contrario, l’io femminile si trova sempre e non si cerca mai; è lì da prima, costantemente vicino a sé, e magari lontanissimo dal mondo. 
Ogni volta che rileggo questo scritto mi sento commuovere, anche perché vengono citate altre due donne che sono state per me fondamentali: Teresa di Lisieux e Carla Lonzi.
La prima l’ho incontrata, in un momento molto difficile della mia vita, dentro le pagine di un libro scritto da un amico, don Abramo Levi, intitolato semplicemente Teresa di Lisieux.

Carla Lonzi

Teresa di Lisieux


Carla Lonzi, invece, l’ho conosciuta senza mediazioni, quasi di persona, durante gli anni ‘meravigliosi’ del mio femminismo milanese. Da allora, i suoi Libretti Verdi e, soprattutto, il Diario di una femminista non mi hanno più lasciato in balia di vuote correnti. 

Lalla Romano

Se vogliamo, poi, chiudere il mio (piccolo) cerchio devo aggiungere Lalla Romano, forse la scrittrice italiana più autobiografica, che nei suoi libri ha saputo tenere perfettamente insieme la vita quotidiana con una riflessione altissima, e mi ha condotto sulla soglia della mia scrittura.






                                                                           


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