Anabasi. La vacanza femminista

(Dalla prima sezione di Una sera dolcissima, intitolata Non ho più occhi giovani

 1) Anabasi

Era il loro gruppo di autocoscienza. 




Il primo assieme a Rivolta Femminile e Cerchio Spezzato
Nomi diversi per indicare una realtà che si era messa in moto, aprendo, per alcune, un cammino inesauribile. 
Il mio ingresso ufficiale avvenne una sera qualsiasi, dopo tanto che frequentavo via Caccianino. 
È stata l’unica adesione convinta in tanti anni di partecipazione al Movimento. 
Quando Liliana pronunciò la frase: - Adesso, fai parte del nostro gruppo - mi sono sentita nel posto giusto, al momento giusto. 
Unita a quelle donne da vincoli di affetto e di pensiero che non mi hanno più lasciato, anche se le nostre esistenze si sono separate. 
Nelle sere d’estate il giardinetto accoglieva le nostre riunioni sotto la chioma di un prolifico albicocco.
Dall’alto dei muretti, confinanti con altri giardini, i gatti passeggiavano o si sdraiavano, guardandoci sornioni. 
Non per tutte era così: in molti casi, infatti, prevaleva l’ideologia, quel tarlo che consumava l’esperienza, immiseriva la ricchezza emotiva. 
Nell’Anabasi non succedeva.

La villetta di via Caccianino

 
La villetta di via Caccianino era un grembo dove nascevano amicizie durature, prendevano corpo iniziative autentiche. 
Era stato scelto il ponte dei Morti, che avrebbe permesso a molte donne di partecipare. 
La località sarebbe stata Bardolino, sul lago di Garda. 
Torino, Milano, Verona, Mestre: erano i centri femministi con cui eravamo in contatto, ma dopo quell’incontro, il primo in Italia, ci sarebbe stato un enorme allargamento, che avrebbe compreso anche il Centro e in particolare il Sud, con Napoli. 

Michela Gusmeroli e Lina Varigotti
Io e Lina a Varigotti


Avevamo trovato un alberghetto, con una proprietaria che all’inizio era rimasta sconcertata da tutte quelle donne, poi era stata completamente assorbita dalla nostra atmosfera. 
Un cambiamento che avremmo verificato altre volte e che ci faceva capire, più di tanti discorsi, quanto le donne fossero desiderose di conoscersi e parlare liberamente. 
Fu lì che incontrai Lina e Teresa, due sorelle napoletane. 
Vestite con abiti luccicanti, sciarpe multicolori; ciondoli e spille, fatte da loro. 



Si erano battezzate Nemesiache, dal soprannome di Lina: Nemesi
Un’audacia e una creatività che suscitavano estremo subbuglio o estrema simpatia. 
Tramite loro conobbi il Sud. 

 * 

 2) La vacanza femminista 

Il paese era piccolissimo, tutto ammassato sul bordo della spiaggia che si stendeva libera per chilometri e chilometri. 
Bianca, riarsa. 
Il mare, una compatta distesa azzurra, la lambiva con una sottile lingua trasparente.
Avevamo sorpreso per strada la levata del sole dalle acque della notte. 
Adesso il suo alto strascico illuminava il cielo e il nostro faticoso viaggio era terminato. 
Avevo bisogno di riposo. 
Sapevo, tuttavia, di dover attraversare ancora molte incertezze, prima di toccare un letto. 
Il paese appariva deserto. Dove bisognava andare? 
Avevamo solo un’indicazione vaga per rintracciare il luogo del raduno. 
Dove si nascondevano le amiche? 
Non vedevo l’ora di riunirmi a loro, di sentirmi benedire dalla loro presenza. 
Da quell’ulteriore giovinezza, con cui mi sembrava di essere riuscita a relegare la vita precedente in una zona parallela della mente, per ora chiusa come un forziere. 
Finalmente vedemmo un gruppetto di gente sulla porta di quello che sembrava un bar. 
Ci stavamo avvicinando, quando da una stradina spuntarono alcune donne della nostra specie. 
Erano allegre e questo ci tranquillizzò. 
Dietro ogni finestra, però, si percepiva uno sguardo che giudicava il nostro sciame con sospetto. 
Ma nulla avrebbe smorzato il nostro entusiasmo. 
Eravamo al centro del mondo e nessuno ci avrebbe tolto di là. 
Ci guidarono nella proprietà della “contessa”, dove avremmo dovuto trascorrere la vacanza. 
Il palazzotto era piuttosto malmesso. 
Intorno all’edificio si stendeva un terreno, appena macchiato dall’ombra magra degli ulivi. 
Sotto di essi si vedevano panche e tavoli pieni di donne, giunte da tutta Italia, che vociavano. 
Era in corso una riunione, per valutare la situazione. 
Il posto, infatti, non era adatto ad accoglierci. 
Le più inferocite erano le mamme con bambini piccoli, che, da parte loro, giocavano beatamente per terra, mostrando una capacità di adattamento invidiabile. 
Le organizzatrici erano sotto accusa. 
Lina, vestita con un lungo abito rosa, sfidava la collera generale. 
Per niente impressionata dagli attacchi, inalberava la sua aria più spavalda e otteneva ancora molti consensi. 
Le donne senza figli erano più disposte a trattare, a verificare se ci si potesse sistemare nonostante la mancanza d’acqua, le stanze senza porte. 
L’esiguo spazio per cucinare. 
Ci si poteva dividere in gruppi e chiedere in paese se ci fosse un albergo in grado di ospitare chi volesse rimanere. 
Dopo qualche ora si erano delineati tre schieramenti. 
Il più numeroso era quello delle donne che sarebbero ripartite. 
Avrebbero cercato lungo la costa un campeggio economico, sicuramente più confortevole. 
Alcune mamme intraprendenti si sarebbero adattate sulla spiaggia, per non rimettersi in viaggio subito. Avrebbero inventato ricoveri di frasche, come quelli dei locali, e si sarebbero aiutate. 
Erano le più entusiaste e, alla fine, sarebbero state le uniche a godere davvero la vacanza. 
Bastava guardarle mentre accudivano con mezzi di fortuna i loro figli, ritrovando, nel contatto diretto con la natura, una sapienza istintiva ammirevole. 
 Quelle come me, che non volevano rinunciare a restare, ma non se la sentivano di adottare soluzioni complicate, si sarebbero riunite nell’albergo, sotto l’ala protettrice di un padroncino locale, che si era reso fin troppo disponibile. 
Mi ritrovai così in una stanza piena di letti, che assomigliava al familiare dormitorio di un collegio. Poche ore dopo la sconsideratezza delle “napoletane” era stata completamente dimenticata e filavamo d’amore e d’accordo. 
In realtà, sotto la superficie, vagava un’ansia inconfessata che afferrava ciascuna in modi e tempi diversi. 
Strappava dall’abbraccio collettivo e precipitava dentro una dolorosissima dissonanza. 
 Il pianto di Agnese, sotto l’ombrellone. 
La partenza precipitosa di Luisita, con l’amica. 
Dietro la spiaggia si aprivano campagne sconfinate e la terra spaccata, come bruciata, trasmetteva un senso d’immobilità, che le parole ammalianti di Lina, le danze ispirate di Teresa cercavano di contrastare, ma l’esperimento riusciva solo in parte. 
L’oscura potenza di un mondo primordiale insidiava la nostra avventura, lacerava continuamente la nostra vacanza. 
Con difficoltà dovevo recuperare i brandelli che volavano via. 
Bene o male guadagnai la conclusione. 
Fra il respiro del mare e quello dei nostri corpi. 
Fra cieli stellati e fuochi sulla spiaggia. 
Discussioni animate, silenzi indecifrabili. 
Momenti pieni di passioni, visioni ma, alla fine, non vedevo l’ora di tornare a una dimensione più normale. 
Partii rinfrancata per la costiera Amalfitana, con mia sorella e Agnese, in cerca di mitezza.


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