Nella mia stanza (Meligrana 2018)




Sommario

Dalla parte di lei
Il bacio – Panico – Lo sciopero – La spaghettata – In viaggio – Fuori posto


Piccoli Approdi


Donne è bello
Due agosto – La gatta – Altitudine – Primavera – Neve – Stranezze – Donne è bello – Elezione – Nord-Est – Vecchie cose – La leggerezza – Resistenza – La mostra – Reparto Marcora – Tracce – Ombre – Fantasia – Gabinàt – La sensazione


Dalla parte di lui
L’altro – Addio, Lugano bella – Inverno – Passione coniugale – Il Maestro – Dalla parte di lui


Pia e Luca
Fortuna – Feràl – La svolta – Gora – Antenne – A un certo punto – L’agente letterario – Il nodulo – Il germoglio – L’ultima notte – Estate – Forse


Nella mia stanza
In profumeria – Dal paese della tenerezza – La Losanna – Stazione – La vita nuda – Lettera notturna – I gioiellini – Nella mia stanza - Gorizia


1) Da Nella mia stanza 

Nella mia stanza  

                                  
Venite, entrate, non fatevi intimidire dalla sua piccolezza: tre metri e ottanta, per due e trentotto. - Ecco, a sinistra, proprio attaccato alla porta, il tavolino di mia nonna paterna. 
Lo uso per scrivere, mentre lei lo usava per cucire, guadagnarsi da vivere, poiché è rimasta vedova a trentasei anni, con sette figli.
Per un periodo, l’ha ceduto a un ospite pagante, uno studente pasticcione che ha macchiato il ripiano d’inchiostro, così lo tengo coperto con un panno o con un telo, l’ultimo proveniente da Bali, regalo di un amico.
La cosa più toccante è che il tavolino si è sempre inserito, perfettamente, nei ridottissimi spazi dei miei alloggi; anche in questa stanza, quando l’avevo collocato vicino alla finestra, stava al millimetro. 
Sopra di esso, alla parete, ci sono un angelo, con un voluttuoso (nel senso di ampie volute) abito di cartapesta, e alcuni quadretti.
Fra essi, un’immaginetta di S.Michele, comprata  al mercatino di Fiesole.
Più aristocratico un ex-libris, scovato su un’altra bancarella, dentro un libro che non ho acquistato. - Ergo, penserete che l’abbia rubato!
Invece no, mi è stato gentilmente donato dal venditore, colpito dalla mia ammirazione. - Su uno sfondo dorato, spiccano dei libri, con scritto al centro:

I miei veri amici 
per la mia consolazione 
Lorenzo Consolati 
di Sommavilla


Nella parete seguente s’incontra subito un mobile a vetri dell’Ikea, che uso come libreria.
Sui ripiani tengo i libri che sto leggendo, e quelli che desidero avere sottomano, anche se non li apro.
Mi basta sfiorare un dorso, per sentirmi cogliere da una intensa emozione, al pensiero che la mia scrittura possa trovare un posto stabile, in mezzo a loro.
Dopo la libreria  viene una rientranza, occupata dal secrétaire, altro mobile Ikea che mi ha seguito fedelmente, senza mai impicciare, adattandosi a ogni situazione difficile.
La ribalta contiene documenti essenziali, alcuni esami medici, rubriche tascabili con numeri telefonici sorpassati che non mi decido a buttare (non si sa mai).
Astucci di occhiali perché, da quando non uso più le lenti a contatto, ho dovuto riabituarmi alle stampelle per occhi.
Nei cassetti ci sono sciarpe, sciarpine e indumenti leggeri che uso di rado, ma hanno un grosso valore affettivo: peculiarità femminile, resistente a qualsiasi cambiamento.
Siamo già a ridosso della finestra, troppo larga per una stanza così piccola: forse hanno voluto risparmiare sul cemento.
D’inverno lascia passare terribili spifferi, nonostante abbia i doppi vetri.
Di notte la schermo con tendoni di cotone pesante comprati, indovinate un po’, all’Ikea.
Al resto della parete si appoggia il lato più corto di un divano, dietro il quale c’è un’altra rientranza, che ho adibito a nicchia della memoria.
Appese al muro le foto di due donne eccellenti: Lalla Romano scrittrice e Carla Lonzi femminista.
(Se non conoscete i loro scritti dovreste affrettarvi a farlo.)
Sulla mensola un’istantanea di mio padre davanti a una baracca, con altri commilitoni.
Neve sotto gli scarponi, ghiaccioli sopra la testa. 
Sul retro una scritta di suo pugno, come appena tracciata: 

Russia, gennaio 1942
La capanna dello zio Tom e i suoi ospiti
nel gelido inverno russo.
La vera famiglia del Vanò.

Ma quale Vanò, dico io, se è stato capace di affrontare la ritirata e portare a casa, intatta, la sua bella persona!
James Hillman (fotografato da Roberto al festival di Modena) è con don Abramo e Signorini, amici che non sfigurano accanto al grande psicologo.
Le immagini delle amiche più care (ancora vive, per fortuna!) si trovano dentro un armadietto a vetri, posto in fondo al divano, dove sono custoditi i miei ‘bibelots’: quadernetti, ricordini, libriccini, cartoline e un indispensabile vocabolarietto grammaticale.
In una scatola di metallo, con un drago a sbalzo sul coperchio, è racchiuso il bigliettino che annuncia la mia nascita, salvatosi in maniera davvero miracolosa perché nella mia famiglia non c’è stato il culto della conservazione (semmai l’opposto).
È rosa, recante al centro la scritta:

Gianna  e  Alfredo  Gusmeroli 
annunciano con gioia la nascita di
Michela-Pia
Sondrio, 11 luglio 1950

Ai lati del cartoncino due alette ripiegate: su quella di sinistra, una cicogna porta nel becco il fagottino del neonato; su quella di destra, una casetta alpina, col fumo che esce dal camino, è pronta (?) a riceverlo.
Appoggiata alla scatola tengo la valva di una conchiglia, le cui ondulazioni assomigliano alle balze del vestito di una ballerina di flamenco. 
Raccattata sulla spiaggia di Eraclea, durante una passeggiata invernale.
Inverno è pure il titolo di una xilografia, comprata a Gorizia nella libreria di Paolo, altro amico caro. (Alle visite a Gorizia devo proprio dedicare uno scritto; lo sto aspettando, con trepidazione, come l’apparizione di una creatura celeste.)
Avrete capito che l’inverno è la mia stagione preferita (sì, nonostante gli spifferi).
L’autrice della xilografia lo interpreta così: una vecchia casa isolata, serrata, col tetto spruzzato di neve. Nello spiazzo antistante alberi e corvi, tanti corvi, sui rami e sul terreno.
(Corvi è il cognome di mia madre, uno dei più antichi cognomi lombardi).
Ormai starò annoiando, però non posso tralasciare il tocco romantico di due cappelli di paglia, appesi accanto a delle melagrane di creta, comprate alla fiera di Valmareno.
I frutti di Proserpina mi ricordano i momenti più bui, incompresi, della mia esistenza.
Un malessere ma anche una ricchezza.
Prima di chiudere, desidero ancora nominare la vecchia bulle di ceramica con sopra un vivace tralcio di  bacche rosse, dipinto da Simona Guslandi.
Era una ragazza che aveva un negozietto vicino alla Sette, l’ufficio di Milano dove sono stata meglio, dove ho incontrato i colleghi migliori.
Argomento, forse, di un prossimo libro.

Presentazione con Roberto Masiero


Recensione su La Provincia di Sondrio








2) Da Piccoli Approdi: 
Sulla pianura padana 

Sulla pianura padana
ci sono chilometri di strade
*
le nostre prime passeggiate intorno a Milano
più avanti fra sperdute campagne
la casa di Ester
la reggia di Mantova
*
profusione di infinite emozioni
nelle nostre chiacchiere sull’esistenza
problematici passaggi simultanei
ai brividi di freddo al groviglio
delle sterpaglie
uno stormo una volta
ha attraversato l’aria
sorvolando cascinali e nidi abbandonati
al nostro sguardo
*
i monti velati
i racconti di Celati
*
le tempeste di occasioni sradicate
stagioni sempre colme
di ricordi
*
traghettati in filigrana.

Verso Sondrio 

Rimescolando la vita insoddisfatta
dentro quella scatola di latta
lungo la strada
nelle ore più disparate
*
e gli arsenali del buio addossati
alle rocce soprastanti e nelle occulte anse
acque facce
della luna sulle mandrie
dei ricordi sulle percezioni
eteroclite di noi
*
frecce bersagli
di bellezza
dell’istante.

Autoritratto 

Nell’ombra
fra ciottoli e terra smossa
l’estate si è distesa
*
disadorna
irrilevante
quasi sconosciuta
*
una mano appoggiata
al fianco sottile
la curva di un seno
appena disegnata
*
più mia
più ardua
più sola.


3) Da Donne è bello 
                                                           
Primavera


L’amor comenza con suoni e con canti 
e poi finisce con dolori e pianti. 
Teatro Tascabile di Bergamo, L’Amor comenza



I cerbiatti sono fuggiti appena mi sono avvicinata alla finestra.
Un frammento della loro bellezza è rimasto impigliato nella mente.
Per non disperderlo resto ferma.
Intanto sorseggio il mio intruglio preferito, a base di anice e finocchio.
Guardo la distesa del prato, evidenzio il cordone scuro del bosco.
Indugio su alcuni dettagli, evitando di girare gli occhi a sinistra.
Uno stupido stratagemma di cui sono cosciente, che non fa altro che aumentare la sofferenza.
La primavera quest’anno è pigra, sembra proprio non volere uscire dalla tana.
Del resto, non mi aspetto nulla dal cambiamento.
Un tempo avverso ha barricato il mio cuore dietro un muro di tristezza.
Le piantine nelle serre, invece, continuano a stare bene, per esse c’è sempre la stessa atmosfera, lo stesso grado di calore.
Ormai sono tantissime, allineate su enormi tavolati scorrevoli. 
Velocemente hanno cambiato la nostra vita, accresciuto la nostra ricchezza.
Il sole è arrivato sui vetri della finestra.
Ferisce i miei occhi, striscia sui giocattoli di Fridrik.
Presto invaderà tutto il soggiorno, arrampicandosi sui mobili, graffiando le vene del legno.
Ogni cosa è intrisa di dolore, non riesco più a percepire il mondo nel solito modo.
In mezzo agli altri cerco di non darlo a vedere. 
Del resto chi si occupa di me?
Viktor e Carl, gli altri due figli, sono spesso via.
Il nostro dialogo, proprio quando cominciava ad allargarsi, si è interrotto.
Ormai contano solo gli amici.
Nuove esperienze, nuove emozioni che non posso condividere, gettano fra noi una distanza invalicabile, facendomi uscire dalle loro vite, regredire in mezzo ai residui dell’infanzia.
Una diversità che non avevo previsto quando mi sentivo solo un’ospite, davvero straniera in questo paese.
Ma adesso esagero.
La nostra casa è ancora in piedi, come spuntata dalla terra, come fosse qui da sempre.
Coi muri di un pacato color salvia, l’eleganza delle decorazioni bianche.
La rivedo con le fondamenta scoperte, soltanto le travi di sostegno.
Ripercorro, attimo per attimo, la sua costruzione, e mi sembra di essere felice.
Chissà, invece, se troverò la voglia di completare le tende per lo spogliatoio della sauna.
Sarebbe il tocco finale. 
Ho comprato la stoffa, fatto gli orli, ma da quel giorno, dal pomeriggio della scoperta, non riesco più a riprenderle in mano.
Sul fondo della tazza è rimasto qualche seme.
Un po’ di liquido.
Il profumo dell’anice persiste e con esso il calore nello stomaco.
A mezzogiorno non prenderò altro.
Mentre Jan mangerà, io farò finta.
Detesto gli avanzi della sera precedente.
 La carne, le patate.
La crème fraiche e il burro salato.
Soprattutto le nostre piantine, con cui preparavamo delle gustosissime insalate.
Il loro sapore è diventato amaro, da quando mi trovo impantanata in un’assurda attesa, senza entusiasmo, senza speranza.
Jan mi ha chiesto di avere pazienza, che ogni cosa si risolverà per il meglio.
In realtà, dopo l’ultima discussione, non ci siamo detti più nulla.
I compiti quotidiani ce li comunichiamo con parole che crepitano nella mia testa come foglie secche, fra i mulinelli della nostra vita dispersa.
Per farle tacere prendo la macchina.
Invento un pretesto per lasciare la casa.
Quando vedo la sua sagoma sparire nello specchietto, mi fermo sul ciglio della strada.
Piango.
Non ho confidato a nessuno quello che mi accade.
Una sera, tuttavia, ho preso il coraggio a due mani e ho telefonato a una vecchia amica, in Italia.
Ho ascoltato la mia voce raccontare i primi dubbi.
I sospetti, accompagnati da bugie vergognose.
Alla fine, la certezza, la prova concreta del tradimento di Jan, contenuta in una lettera, spuntata dalla tasca della sua giacca.
Un momento terribile, che mi ha messo davanti l’immagine di una nostra lavorante trasformata, di colpo, in rivale.
Mi sono sentita lacerare, sprofondare.
Lo so che è una storia trita e ritrita, però a me capita ora.
I brandelli, ricavati dai racconti di altre donne, non mi offrono alcun riparo.
La persona che amavo è scomparsa.Non parlo di Jan in se stesso, ma del marito, del compagno.
Della fatica che ho fatto per aprirmi un varco nel suo animo e mantenere il legame fra difficoltà di ogni tipo, prima fra tutte la sua arcaica gelosia nei confronti dei figli.
Sparito l’amore, i miei conti diventano esigenti.
Quanto mi è costato questo?  Quanto quello?
Anche il sentimento per i figli si è inaridito.
Solo con Fridrik, il più piccolo, ritrovo certe dolcezze del passato.
Di sera mi sdraio accanto a lui, nel letto.
Mi lascio trasportare dal ritmo quieto del suo respiro.
Mi risveglio infreddolita.
Il corpo di Jan sempre più lontano, immerso in una estraneità che lo zavorra da ogni lato.
Altri pensieri, altri desideri.
Ciò che era unito si è separato, anche se continuerò a percepirlo, come un arto fantasma.
Lo sguardo si posa sulle serre.
In un’unica, velocissima scansione, rivedo gli anni che ho trascorso là dentro, vicino a quella donna. La simpatia, che ho dovuto estirpare.
Il disgusto, quando ho scoperto che voleva sottrarmi persino una quota dell’azienda.
Chiudo, per sempre, quella porta.
La mia rinascita. 

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