La ‘mia’ Cenerella


La Cenerella a Quarto Oggiaro


Sapore dei cornetti ancora caldi, con cui cominiciava la giornata.
Aprivo gli occhi, godendo il silenzio che precedeva lo svegliarsi delle altre.
Inseguivo un’ombra, dentro l’acqua del grande specchio; mi perdevo fra le pieghe di un vestito; volavo sul soffitto a cercare la chiave di un mistero.
Mi preparavo al loro risveglio, stringendo fra le dita il meraviglioso dono di quei giorni.
                                                                        *
Chi erano, chi siamo?
Lina, di Napoli.
Bruna, Luisita, Margherita, Luigia, Grazia, mia sorella e io, di Milano.
In quale anno? Millenovecentosettantacinque.
Quanto tempo è passato…o no?
                                                                         *
Vedo ancora, con nitidezza assoluta, la villetta di via Caccianino, sede del primo Soccorso Femminile.
Lina è ospite di Bruna, alloggiata nella sua camera al primo piano, che ha cambiato fisionomia, si è arricchita di una sciarpa qua, una cintura scintillante là, il cavalletto coi colori e, sopra tutto, l’aroma esotico, penetrante del profumo di Lina.
(Patchouli, se non ricordo male.)
Ogni giorno mi dirigo, attraverso il ginepraio di Milano, verso quel faro che illumina, riscalda il mio cammino.
Se si cerca la spiegazione ultima di certi fatti non la si trova, si può solo cercare di raccontare ciò che è successo, ma anche questo in misura limitata.
Marina Terragni lo definisce sisterhood, uno stare fra donne rigenerante, un vero elisir di lunga vita.
                                                                         *
Fu così quell’inverno in via Caccianino, assieme a Lina e alle altre amiche di Milano.
Nella villetta c’era uno scantinato, usato per le riunioni di autocoscienza, e lì abbiamo cominciato a fare le prove per mettere in scena la Cenerella, un testo teatrale di Lina che rileggeva, in chiave femminista, la favola di Cenerentola.

Il mio principe


Non ricordo il testo, però io interpretavo il principe e Teresa, sorella di Lina, Cenerella.
Si era deciso di coprire i volti con delle maschere, lasciando libero solo quello di Cenerella.
Il resto del corpo era nascosto sotto dei camicioni che avevamo colorato col Superiride, comprato in una vecchia drogheria di via Broletto.
                                                                          *
Perché un dettaglio così insignificante?
Non lo era affatto per me, che ‘rimappavo’ Milano attraverso ciò che facevamo, scoprendo un fascino domestico in quel guazzabuglio di vie e di palazzi, che mi intimoriva e frastornava.
Improvvisamente la metropoli mi appariva familiare, la percorrevo come se l’avessi sempre abitata assieme a Lina e alle altre, sentendomi ‘a casa’.
                                                                          *
Una sera si andava da Luigia, in via Solari; un’altra da Margherita, in via...non ricordo.
So solo che l’appartamento assomigliava a un magazzino, due stanze l’una dentro l’altra, più un cucinino e un bagnetto.
Il grande letto di Margherita ci accoglieva tutte rannicchiate, acciambellate come gatte, ad ascoltare i discorsi di Lina che infiammavano le nostre menti, ci conducevano verso altre dimensioni, in cui le donne, noi, diventavamo streghe, maghe, antiche dee.
                                                                           *
Fu così che scelsi il mio nome nemesiaco: Aracne, la tessitrice che osò sfidare Atena.
Solamente molti anni più tardi, quando ormai la mia vita aveva preso una piega diversa, forse la prima vera piega soggettiva, capii perché avessi scelto quel nome che mi evocava un animaletto di cui avevo quasi una fobia.
Non era la sfida, né la bravura di Aracne, ma il filo più segreto, affettivo, conservato dentro di me, che non si è mai spezzato e mi è servito, mi serve ancora, adesso, a scrivere di loro e di me.
                                                                          *
Come colore per il mio camicione, la mia divisa da principe, scelsi il verde e il viola.
Anche di questo colore ho scoperto da poco il significato esoterico, proprio legato al femminismo, poiché costella la ricerca, spasmodica e sofferta (lo posso garantire!), della completezza, della fusione degli opposti.
Opposti che si possono definire ‘maschile’ e ‘femminile’, ma che non hanno nulla a che spartire con gli uomini e le donne reali.
Sono immagini, dimensioni psichiche, archetipi coi quali si può entrare in contatto solo attraverso i sogni, l’arte e certi momenti particolari, come quello della Cenerella.
                                                                          *

Alla fermata di Positano


Mimose e rami di pruno furono scelti per addobbare il locale, dove l’avremmo rappresentata.
Si chiamava Teatro il Quarto, e sorgeva a Quarto Oggiaro, un quartiere a nord-ovest di Milano, abitato per lo più da immigrati meridionali, dove pochi anni prima avevo collaborato con altre amiche alla gestione di un asilo ‘proletario’.
Un periodo che volevo dimenticare e, adesso, assieme a Lina e alle altre ci riuscivo. 
Avevo ritrovato, con loro, qualcosa che credevo smarrito per sempre: la bellezza, la freschezza della giovinezza.
                                                                         *
Oltre ai fiori, sulla scena, mettemmo un cartellone dipinto da me e qualche velo.
Della pubblicità s’incaricò Margherita, che avendo un amico con la macchina, una porche nientedimeno, si faceva accompagnare ad attaccare i manifesti di notte, in pelliccia.
Maghe, streghe, dee.
Donne, amiche, sorelle. 
                                                                        *
La sera del debutto, in mezzo al pubblico, c’era Giorgio Gaber.
Non che sia importante, ma di tutto il resto, delle sere successive in cui la Cenerella andò in scena, non mi è rimasto nulla.
Solo un altro dettaglio.
Una volta Lina mi stava parlando intensamente di qualcosa.
Io sentii l’impulso di aprire il frigorifero e mettermi a mangiare dei piselli, da una scatoletta.
Lina ne fu sconvolta.
 
(Inserito nel libro di Silvana Campese, La nemesi di Medea, L’inedito 2019.)


(Le foto riproducono, la prima un momento dello spettacolo a Milano, al Teatro Quarto, di Quarto Oggiaro; l’altra l’attesa della corriera, durante una vacanza sulla Costiera.)




  


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